Franco Mauro Franchi

Fran­co Mau­ro Franchi

Fran­co Mau­ro Fran­chi è nato nel 1951 a Rosi­gna­no Marit­ti­mo (Livor­no) dove risie­de ed ope­ra.
Ha com­piu­to gli stu­di arti­sti­ci pres­so l’Istituto d’Arte di Luc­ca e l’Accademia di Bel­le Arti di Firen­ze sot­to la gui­da degli scul­to­ri Vita­lia­no De Ange­lis e Oscar Gal­lo, mae­stri fon­da­men­ta­li nel­la sua for­ma­zio­ne tec­ni­ca e lin­gui­sti­ca. Nel 1976 entra, come assi­sten­te di Oscar Gal­lo, pres­so l’Accademia fio­ren­ti­na e vi reste­rà fino al 1989, anno in cui vin­ce il con­cor­so nazio­na­le a Cat­te­dre, clas­si­fi­can­do­si al pri­mo posto. Gli vie­ne così asse­gna­ta la Cat­te­dra di Scul­tu­ra dell’Accademia di Bel­le Arti di Fog­gia che ter­rà per un anno. Otte­nu­to il tra­sfe­ri­men­to su quel­la di Bolo­gna vi reste­rà fino al 2000, anno in cui gli vie­ne asse­gna­ta la sede di Car­ra­ra, Acca­de­mia dove tut­to­ra svol­ge il suo magi­ste­ro tenen­do i cor­si di Scul­tu­ra del Trien­nio e del Bien­nio, curan­do la spe­cia­li­sti­ca rela­ti­va alla fon­de­ria arti­sti­ca.
Ha par­te­ci­pa­to a nume­ro­se e pre­sti­gio­se ras­se­gne d’arte come Le Avven­tu­re del­la for­ma a Sera­vez­za Luc­ca e la Bien­na­le di Vene­zia Palaz­zo del­le espo­si­zio­ni di Tori­no. Ha ese­gui­to ope­re monu­men­ta­li per spa­zi pub­bli­ci e pri­va­ti in Ita­lia e all’estero come Piaz­za del­la Liber­tà Ceci­na Li, Piaz­za Fran­cia Firen­ze, Rue du Levant Mar­ti­gny Sviz­ze­ra, Mine Yama­gu­chi Giap­po­ne. Ha vin­to pre­mi e tenu­to nume­ro­se espo­si­zio­ni per­so­na­li come quel­la di scul­tu­ra e dise­gni alla Fon­da­tion Gia­nad­da di Mar­ti­gny Sviz­ze­ra nel 1991, al Museo Archeo­lo­gi­co di Firen­ze nel 2006, alla Vil­la Medi­cea di Cer­re­to Gui­di e al Tea­tro Roma­no e Museo Archeo­lo­gi­co di Fie­so­le nel 2013. Nel­lo stes­so anno le sue ope­re sono sta­te espo­ste da set­tem­bre a dicem­bre negli spa­zi civi­ci del­la cit­tà e nel muni­ci­pio di Pon­tas­sie­ve. Nel 2014 tie­ne una per­so­na­le di pit­tu­ra, dise­gno e scul­tu­ra “Appro­di alla gran­de madre” pres­so la Fon­da­zio­ne Tros­si Uber­ti di Livorno.

Testo Critico

Ric­car­do Fer­ruc­ci, Sogni e miti nel­l’ar­te di Fran­co Mau­ro Franchi.

Il mare – vide il baro­ne sui dise­gni dei geo­gra­fi – era lon­ta­no. Ma soprat­tut­to – vide nei suoi sogni – era ter­ri­bi­le, esa­ge­ra­ta­men­te bel­lo, ter­ri­bil­men­te for­te – disu­ma­no e nemi­co – mera­vi­glio­so. E poi era colo­ri diver­si, odo­ri mai sen­ti­ti, suo­ni sco­no­sciu­ti – era l’al­tro mon­do.

Ales­san­dro Baric­co dal libro Ocea­no Mare

Vor­rei ini­zia­re il mio viag­gio nei Sogni medi­ter­ra­nei di Fran­co Mau­ro Fran­chi, ospi­ta­ti nel­la splen­di­da cor­ni­ce del Museo Archeo­lo­gi­co di Fie­so­le, con le paro­le di Baric­co che indi­ca nel mare l’al­tro mon­do, mera­vi­glio­so e ter­ri­bi­le, lon­ta­no. Le gran­di figu­re di don­na che appa­io­no improv­vi­sa­men­te, nel ver­de e silen­zio di Fie­so­le, sono appa­ri­zio­ni che pro­ven­go­no da un’e­po­ca lon­ta­na, dal mito arcai­co del­la bel­lez­za fem­mi­ni­le, dal­l’e­ter­no viag­gio di Ulis­se. Sono pre­sen­ze, iso­le di bel­lez­za con uno sguar­do per­du­to ed enig­ma­ti­co, miste­ro sen­za tem­po, fuo­ri dal­la cro­na­ca e dal­la real­tà, ma con pro­fon­di richia­mi alla sto­ria gre­ca, roma­na ed etru­sca.
Ripen­san­do ai suoi viag­gi al museo etru­sco di Tar­qui­nia, ricor­da Fran­chi: “ In quel luo­go magi­co e miste­rio­so che fre­quen­ta­vo quo­ti­dia­na­men­te ho avu­to le mie più for­ti sug­ge­stio­ni pla­sti­che quan­do osser­va­vo quel­le figu­re, spes­so obe­se, diste­se sul loro let­to sar­co­fa­go, con lo sguar­do per­so all’o­riz­zon­te, che io imma­gi­na­vo mari­no. Ero attrat­to non solo dal­l’a­spet­to paci­fi­ca­men­te enig­ma­ti­co di que­ste straor­di­na­rie figu­re, in pose con­vi­via­li e appar­te­nen­ti a un pas­sa­to mol­to lon­ta­no dai nostri gior­ni, ma m’in­cu­rio­si­va­no mol­to i par­ti­co­la­ri del­le loro super­fi­ci. Que­ste con­ser­va­va­no a fior di pel­le i segni del fare, del lavo­ro del­lo scul­to­re che le ave­va pro­dot­te, le scal­pel­la­tu­re sul­le pie­tre o le impron­te digi­ta­li sul­le ope­re in ter­ra­cot­ta.”
Que­ste lon­ta­ne sug­ge­stio­ni han­no pro­dot­to nel lavo­ro di Fran­chi un model­la­to par­ti­co­la­re, che lascia, sui cor­pi fem­mi­ni­li e i vol­ti del­le don­ne, segni e inci­sio­ni, feri­te e ste­su­re per una costru­zio­ne nuo­va, ma che pos­sie­de la leg­ge­rez­za di una sto­ria scrit­ta sui cor­pi, pagi­na dopo pagi­na, anche attra­ver­so l’u­ti­liz­zo di dif­fe­ren­ti mate­ria­li (mar­mo, bron­zo, cemen­to, vetro­re­si­na, ter­ra­cot­ta) usa­ti con ugua­le sapien­za dal­l’ar­ti­sta. È una bel­lez­za clas­si­ca, quel­la a cui ten­de Fran­chi nel suo viag­gio, ma che pos­sie­de al suo inter­no, soprat­tut­to sul­la super­fi­cie del­le sue for­me, una com­po­si­zio­ne scul­to­rea estre­ma­men­te moder­na che richia­ma le inter­ru­zio­ni di Gia­co­met­ti o Van­gi, le inven­zio­ni di Picas­so o Moo­re, ma anche la peri­zia arti­sti­ca del­le nostre bot­te­ghe rina­sci­men­ta­li.
Fran­chi inse­gna scul­tu­ra all’Ac­ca­de­mia di Car­ra­ra, vive con i gio­va­ni, si met­te con­ti­nua­men­te in gio­co per inven­ta­re for­me diver­se e rac­con­ta­re la sto­ria e il pas­sa­to, ma con occhi aper­ti al futu­ro, al doma­ni. È bel­lo pen­sa­re a dove guar­da­no gli occhi del­le sue figu­re: Figu­ra sedu­ta (1991), Medi­ter­ra­nea (1999 e 2004), Iso­la 2002), Gran­de Auro­ra (1994); è uno sguar­do che va oltre il visi­bi­le, che imma­gi­na futu­ri lon­ta­ni, pur par­ten­do dal­la nostra memo­ria e sto­rie anti­che. Ades­so sia­mo bom­bar­da­ti da una serie tale di imma­gi­ni da non saper più distin­gue­re l’e­spe­rien­za diret­ta da ciò che abbia­mo visto per pochi secon­di alla tele­vi­sio­ne; lo sguar­do di Fran­chi va, però, in un’al­tra dire­zio­ne e cer­ca di recu­pe­ra­re una visio­ne pura, qua­si sacra, resti­tui­re digni­tà all’im­ma­gi­ne, ai vol­ti del­le sue don­ne, ai model­la­ti dei cor­pi, per rida­re sen­so ad una sto­ria lon­ta­na, ma anco­ra, in gran par­te, da rac­con­ta­re.
È qua­si una peda­go­gia del­l’im­ma­gi­na­zio­ne quel­la indi­ca­ta da Fran­chi con pre­ci­sio­ne, paca­tez­za, auto­re­vo­lez­za in que­sti lun­ghi anni e not­ti di lavo­ro, per resti­tui­re for­za alle imma­gi­ni, sen­so alla visio­ne ed alla sto­ria. Un rac­con­to che pro­ce­de sot­to­vo­ce, appe­na sus­sur­ra­to, con i toni mode­ra­ti del­la con­sa­pe­vo­lez­za in quan­to solo l’ar­te e la poe­sia pos­so­no descri­ve­re la real­tà in modo pro­fon­do, dar­ci fram­men­ti di veri­tà in un mon­do domi­na­to dal­la bugia e la fin­zio­ne.
Ricor­da il Palo­mar di Ita­lo Cal­vi­no “Solo dopo aver cono­sciu­to la super­fi­cie del­le cose ci si può spin­ge­re a cer­ca­re cosa c’è sot­to. Ma la super­fi­cie del­le cose è ine­sau­ri­bi­le.”
In modi ana­lo­ghi le scul­tu­re di Fran­chi, ma, in par­te anche i dise­gni, non smet­to­no di raf­fi­gu­ra­re le enor­mi donne­mito dei suoi viag­gi fan­ta­sti­ci, inda­gan­do la super­fi­cie del­le cose e la mate­ria per spin­ger­si in pro­fon­di­tà, cono­sce­re la vera natu­ra fem­mi­nea; ma l’ar­ti­sta sco­pre che la super­fi­cie del­le cose e le onde del mare sono infi­ni­te, la ricer­ca non ha mai fine, come l’e­ter­no viag­gio di un novel­lo Ulis­se. È pro­prio nel­la mol­ti­pli­ca­zio­ne di sguar­di, cor­pi, mani, capel­li che risie­de il segre­to di un’ar­te che pro­ce­de, in modo labi­rin­ti­co, ritor­nan­do sui suoi pas­si, rea­liz­zan­do ope­re che si richia­ma­no tra loro, ma anche diver­go­no in un viag­gio moder­no alla ricer­ca del­la verità.

“Ogni orien­ta­men­to ­ scri­ve Hans Magnum Enzen­sber­ger ­ pre­sup­po­ne diso­rien­ta­men­to. Solo chi ha spe­ri­men­ta­to lo smar­ri­men­to può libe­rar­se­ne… Il labi­rin­to è fat­to per­ché chi vi entra si per­da ed erri. Ma il labi­rin­to costi­tui­sce pure una sfi­da al visi­ta­to­re per­ché ne rico­strui­sca il pia­no e ne dis­sol­va il pote­re. Se egli ci rie­sce, avrà distrut­to il labi­rin­to; non esi­ste labi­rin­to per chi lo ha attraversato.”Franchi sem­bra aver attra­ver­sa­to il labi­rin­to, aver com­piu­to, nei giar­di­ni fie­so­la­ni, con le nume­ro­se figu­re di don­na che si guar­da­no e dia­lo­ga­no tra loro, il suo per­so­na­le viag­gio nel­l’al­tro mon­do, nel mare infi­ni­to, nel tem­po sen­za tem­po. Fran­chi ha, magi­ca­men­te, dis­sol­to la pre­ca­rie­tà del­l’e­tà pre­sen­te crean­do dei miti viven­ti ed eter­ni. Figu­re che si ripe­to­no mutan­do costan­te­men­te, istan­te dopo istan­te, come i gra­nel­li di sab­bia di un deser­to, sol­tan­to appa­ren­te­men­te ugua­li, in real­tà, in con­ti­nua evo­lu­zio­ne.
“Appa­re evi­den­te l’a­de­sio­ne cul­tu­ra­le di Fran­chi – osser­va giu­sta­men­te Gra­zia­no Cam­pa­ni­ni ­ alla scul­tu­ra clas­si­ca e pre­classica del Medi­ter­ra­neo; le sue gran­di don­ne, gran­di per­ché sono tut­te giu­no­ni­che, quin­di coniu­ga­te con la flo­ri­di­tà, sono col­te in atteg­gia­men­to monu­men­ta­le; distac­ca­to dal mon­do degli osser­va­to­ri, come fos­se­ro tan­te dee facen­ti par­te di uno olim­po per­so­na­le del­lo scul­to­re.” È chia­ro che il distac­co del­l’ar­ti­sta dal­la sua ope­ra per­met­te una visio­ne ogget­ti­va, di usci­re dal caos del pre­sen­te ed entra­re, miste­rio­sa­men­te, in un tem­po fuo­ri dal tem­po, in un luo­go altro, dove è pos­si­bi­le leg­ge­re da un’al­tra otti­ca la real­tà, pene­tra­re dove l’om­bra s’ad­den­sa, dove il sen­ti­men­to è più pro­fon­do ed ogni sco­per­ta pos­sie­de i toni del mira­co­lo.
“Le mie ope­re ­ sug­ge­ri­sce Fran­chi ­ sono come del­le iso­le, ispi­ra­te a quel­le che ogni gior­no vedo sta­gliar­si ver­so l’o­riz­zon­te mari­no”; natu­ral­men­te il vive­re sul­la costa livor­ne­se rap­pre­sen­ta altro ele­men­to fon­dan­te del­la sua arte, il mare con il suo miste­ro e l’i­so­la mito sono appro­di con­ti­nui del suo viag­gia­re tra la poe­sia e la magia del­la for­ma. Un altro tema cen­tra­le per Fran­chi è quel­lo del­la leg­ge­rez­za: ope­re monu­men­ta­li, ma, model­la­te dal ven­to, che resta­no sospe­se nel­l’a­ria, imma­gi­ni cat­tu­ra­te dal pas­sa­to, sem­pre sul pun­to di dis­sol­ver­si, scom­pa­ri­re nel­la not­te, resta­re sol­tan­to nel­la memo­ria, nel mare dei ricor­di.
“Gio­can­do affio­ra in noi la nostra infan­zia ­ ricor­da l’ar­ti­sta Enri­co Baj ­ e oggi­gior­no v’è pro­prio il gran pro­ble­ma di come resti­tui­re all’uomo affran­to dal­le nevro­si la sua feli­ci­tà, la sua gra­zia e sere­ni­tà infan­ti­le.” Il ritro­va­re l’uomo ludi­co, sepol­to den­tro di noi, è un pro­get­to caro anche a Fran­chi, che ten­de a recu­pe­ra­re una dimen­sio­ne infan­ti­le e di gio­co nel suo lavo­ro; le don­ne monu­men­ta­li sem­bra­no nasce­re dal­le mani di un bam­bi­no, pure le esplo­sio­ni mate­ri­che e le for­ti pla­sti­ci­tà riman­da­no ad una costru­zio­ne pri­mi­ti­va e gestua­le, alla spon­ta­nei­tà del­la crea­zio­ne infan­ti­le.
La dimen­sio­ne ludi­ca è mol­to pre­sen­te nel­la poe­ti­ca di Fran­chi che aspi­ra alla clas­si­ci­tà, ma pro­ce­de anche con la natu­ra­lez­za del­lo sguar­do di un bam­bi­no; capa­ce di vede­re, con occhi diver­si, la real­tà, far emer­ge­re il fan­ta­sti­co e il mera­vi­glio­so dal­la pie­tra, dal mar­mo, dal bron­zo, dai segni di un arti­sta matu­ro, ma, insie­me, eter­na­men­te gio­va­ne Nel fina­le del­le Cit­tà invi­si­bi­li di Cal­vi­no così si espri­me Mar­co Polo: “L’in­fer­no dei viven­ti non è qual­co­sa che sarà; se ce n’è uno, è quel­lo che è già qui, l’in­fer­no che abi­tia­mo tut­ti i gior­ni, che for­mia­mo stan­do insie­me. Due modi ci sono per non sof­frir­ne. Il pri­mo rie­sce faci­le: accet­ta­re l’in­fer­no e diven­tar­ne par­te fino al pun­to di non veder­lo più. Il secon­do è rischio­so ed esi­ge atten­zio­ne e appren­di­men­ti con­ti­nui: cer­ca­re e saper rico­no­sce­re chi e cosa, in mez­zo all’in­fer­no, non è infer­no, e far­lo dura­re, e dar­gli spa­zio.” Anche il viag­gia­to­re Fran­chi sce­glie la stra­da più dif­fi­ci­le: cer­ca­re cosa in mez­zo all’in­fer­no non è infer­no e far­lo dura­re e dar­gli spa­zio.
Le appa­ri­zio­ni del­le sue gran­di donne­isole sono segna­li di vita, fecon­di­tà, mater­ni­tà da oppor­re ad un pre­sen­te domi­na­to dal gelo e dal­la mor­te. È l’in­ven­zio­ne del­l’ar­ti­sta che con­sen­te di sce­glie­re una linea poe­ti­ca ori­gi­na­le per rida­re sen­so alla visio­ne, un sogno ad occhi aper­ti che pre­fi­gu­ra un futu­ro diver­so, anche se fra­gi­le. Imma­gi­ni che appa­io­no e scom­pa­io­no sul filo del­l’o­riz­zon­te, tra le onde del mare, in un pre­sen­te domi­na­to dal caos e dal dolo­re. È il sogno fan­ta­sti­co del­la poe­sia che si affer­ma sul­la real­tà e su un ari­do pre­sen­te.
Scri­ve Danie­le Del Giu­di­ce: “Il volo miglio­re è sen­za dub­bio quel­lo del­la men­te, non richie­de mez­zi di tra­spor­to sofi­sti­ca­ti né bre­vet­ti o abi­li­ta­zio­ni, ma sol­tan­to l’at­ti­tu­di­ne a esse­re pilo­ti di se stes­si, del­la pro­pria fan­ta­sia.” Con l’ar­te e la fan­ta­sia Fran­chi è diven­ta­to il pilo­ta di se stes­so, ha sapu­to inven­ta­re un pro­prio mon­do più rea­le del­la real­tà, che affron­ta le dif­fi­col­tà di un viag­gio, per mare o nei cie­li, con i fra­gi­li e debo­li stru­men­ti del­la poe­sia.
Fran­chi, però, si accor­ge che, a vol­te, la debo­lez­za e la leg­ge­rez­za sono l’u­ni­co modo pos­si­bi­le per dare spa­zio all’u­ma­ni­tà, al gio­co, alla vita, al non infer­no; un per­cor­so per­so­na­le ed uni­co per oppor­si alla vio­len­za e alla for­za di una civil­tà domi­nan­te e distrat­ta che non è più in gra­do di com­pren­de l’uo­mo, i suoi desi­de­ri, le uto­pie e la sua sto­ria mil­le­na­ria.Ric­car­do Ferrucci

Le opere

Le novità della galleria